Se il poeta finge il suo dolore, come scriveva Fernando Pessoa, egli non è da intendersi il penitente che cinge la carne col cilicio per santificare le sue preghiere, piuttosto è il mistico che non rifugge la sofferenza, nonostante non ne sia in cerca, accogliendola come condizione stessa dell’esistenza che si scopre poesia. E l’autrice di quest’opera non soltanto non si sottrae a questo gioco al massacro, anzi, offre il proprio sé alla mancanza che è sconforto e attraverso i versi ritenta la risalita alla totalità perduta, alla sottrazione subita, annunciando da subito, in quell’ Ionùda che è titolo della raccolta, la condizione essenziale con cui iniziare il proprio pellegrinaggio.